Valerio Volpini- Marcello Lani
Ho conosciuto il calcografo Marcello Lani da quando frequentava l'Istituto d'Arte del libro che ha dato all'incisione italiana del Novecento un contributo eccezionale che ha fatto parlare «della scuola di Urbino».
Ne è passato di tempo, ne sono passati di anni. Io ricordo il «buco» (in una casa malandata) che era il suo «studio»: un sottoscala ove in due (con il piccolo tavolo) non ci si girava. Il ragazzo che allora mi passava le accurate calcografie era allievo di Castellani ma lavorava «da matto».
L'acquaforte come vita. Il ragazzo che era ha percorso il tempo della ricerca con fedeltà arricchendosi di esperienze senza mettere in dubbio la sua concretezza figurativa. Questa descrizione del paesaggio urbinate e delle cose (più il primo, insieme agli appunti dei viaggi) è così connotato da un intenso sentimento che rivela la forza del segno e la grazia delicata frutto non di una applicazione dell'intelligenza soltanto ma anche di un'intesa cordiale quasi che rappresentare sia prima di tutto la ricostruzione di affetti per le cose che incontra intorno ad Urbino.
Incidere una lastra e aggiungervi poi pennellate di colore è un gesto di cordialità e di saggezza per far capire il richiamo struggente delle cose. Il piccolissimo studio di un tempo e l'angusto finestrino si è così aperto ed ha permesso all'artista di offrirci quell'amabilità dell'opera che taluno confonde con la leziosaggine lontana dai fogli di Lani.
Come si accende in voli lirici sottolinea la comunione con il mondo, fa sentire la giustezza terrestre con quel tanto di sobrio che è un aspetto dell'autenticità della sua poesia.
Fano, 1998